Open dialogues: intervista con Barbara Pavan

a cura di Margaret Sgarra, curatrice di arte contemporanea

The Soft Revolution, a cura di Barbara Pavan – Museo del Tessile di Busto Arsizio

Nata a Monza e cresciuta a Biella tra telai e filati, Barbara Pavan è una curatrice e critica d’arte specializzata in fiber art. La passione per il filo l’ha portata a ideare e curare mostre, progetti espositivi, cataloghi e blog tematici, diventando così un punto di riferimento delle forme espressive tessili.

Nonostante la fiber art sia una corrente artistica che negli ultimi anni ha trovato particolare riscontro sia in Italia che all’estero, non è ancora entrata nell’immaginario comune. Viene spesso infatti confusa dai non addetti ai lavori con l’artigianato. Come spiegheresti la differenza tra questi due mondi?

Appunti sul nostro tempo – Opere di Ilaria Margutti, Beatrice Speranza, Manuela Bieri

È molto complicato rispondere in maniera esaustiva alla tua domanda che deriva da una più ampia, ovvero: cos’è arte? Nel caso di linguaggi come quelli riconducibili alle tecniche o ai materiali tessili diventa ancora più complesso sottrarre le opere alle etichettature della sfera artigianale. Sia chiaro, il mio non è un giudizio di valore maggiore o minore tra arte, artigianato o design, ma solo la constatazione che appartengono a percorsi creativi differenti. Una delle discriminanti, potrei dirti, è la funzione, che invece manca all’opera d’arte. Ma è veramente muoversi lungo una china pericolosa, perché l’affermazione non è né assoluta né reversibile. Non tutti i lavori a ricamo incorniciati e appesi a un muro, ad esempio, sono arte. Ma, soprattutto, non lo sono tutti i manufatti tessili che non servono a qualcosa in particolare. In realtà i fattori che identificano un’opera d’arte sono innumerevoli e prescindono da quale sia il medium che viene utilizzato. Proprio perché ritengo che la fiber art sia un linguaggio al pari di ogni altro nell’ambito del contemporaneo, suggerisco di applicare gli stessi strumenti che utilizziamo per valutare ogni altra opera – dipinto, scultura, fotografia, installazione, video, ecc. – che riconosciamo come artistica.

Quando hai cominciato a interessarti alla fiber art e cosa ti ha spinta a entrare in contatto con questo tipo di arte?

L’interesse per il medium tessile come linguaggio espressivo mi appassiona da sempre. Etichettato spesso come ‘femminile’, io ne ho sempre percepito invece la cifra ‘femminista’. Ago e filo sono stati gli strumenti di generazioni di donne che li hanno usati per esprimere una minima creatività, una minima libertà, una minima attività affrancata dal permeante controllo maschile. Sono cresciuta in mezzo ai tappeti con il loro immenso e ancestrale patrimonio stratificato di decorazioni e simboli. E ho vissuto a lungo in un territorio che ha un’importante tradizione di eccellenza tessile che ne ha forgiato i luoghi, la cultura, la storia. La fiber art era nel mio DNA, nel mio destino professionale, non potevo sfuggirle.

Appunti sul nostro tempo – Opera di Anneke Klein

Oggigiorno, il numero di aspiranti artisti è sempre più crescente. Ciò è dettato in parte dal desiderio di esprimersi attraverso linguaggi artistici, in parte dalla ricerca di visibilità, di fama e successo. Inoltre va rilevato un aumento radicale di corsi (non solo universitari), laboratori, workshop dedicati alle pratiche artistiche. In questo contesto, come selezioni gli artisti con cui collaborare?

Non ho un unico criterio. Tuttavia devo essere convinta che abbiano qualcosa da esprimere, e che ciò cui danno forma sia arte. Mi interessa capire quale sia la loro ricerca, la loro sperimentazione, la loro poetica e che tutto questo sia autentico, onesto. Ogni artista con cui collaboro è per me sempre un’occasione di crescita personale e di confronto reciproco. Sono curiosa di scoprire talenti o opere che non conoscevo. Questo mi permette di “nutrirmi” professionalmente ma anche umanamente. Dà senso al mio lavoro.

Hai qualche consiglio da dare a chi vuole intraprendere questo percorso?

Non saprei. Dipende dalle aspettative di ognuno, dal talento e dalle capacità. Io applico a me stessa una cinquina di ‘istruzioni’: lavorare, impegnarsi, sperimentare, studiare ed essere curiosi. Aspetti che alla fine, sono ancora convinta, ripagano. Poi certo, non è che un po’ di fortuna non aiuti. Soprattutto occorre valutare bene le opzioni che si scelgono, pesare i pro e i contro. Non sempre le opportunità sono quello che sembrano nel lungo termine, e non è detto che un ostacolo non ci conduca a una deviazione necessaria e salvifica. Bisogna saper cogliere il treno giusto al momento giusto. E questa è una bella sfida.

Recentemente hai inaugurato la mostra Appunti sul nostro tempo negli spazi del Museo del Ricamo e del Tessile in Valtopina (PG). Puoi raccontarci questo progetto?

Dimora, installazione site specific – Terrapromessa – Amatrice

È una mostra internazionale in cui venticinque artiste/i da quindici diversi paesi hanno proposto opere realizzate attraverso il ricamo. Inaugurata nell’ambito della XX Mostra del Ricamo, volevo che fosse l’occasione per avvicinare il pubblico abituato a intendere questa pratica come femminile e artigianale, appunto alla sua dimensione di linguaggio dell’arte contemporanea. È un percorso che si snoda attraverso gli spazi museali in dialogo con la collezione permanente, e che indaga istanze sociali, politiche, personali e collettive del nostro tempo: dalla guerra alla propaganda, dai diritti civili alla malattia, dall’ambiente al valore dell’identità. Le giornate inaugurali mi hanno permesso di incontrare e guidare il pubblico nelle visite, e mi hanno confermato la forza espressiva di questo medium capace di arrivare a una platea ampia dando voce a riflessioni su temi complessi. Il ricamo è radicato nelle vite di molti, evoca memorie infantili di abilità familiari e domestiche di nonne, mamme e zie, e dunque sa comunicare anche a un livello emotivo meno raggiungibile da altri linguaggi.

Oltre a essere una curatrice e una critica d’arte, collabori anche con ARTEMORBIDA Textile Arts Magazine, dove racconti l’arte tessile attraverso interviste ad artiste e artisti, recensioni di mostre ed eventi e altro ancora. Parlaci di questa esperienza editoriale.

Todi Open Doors – To sea or not to sea, Elham Maghili, 2021

La collaborazione con ArteMorbida mi consente di coniugare due passioni di cui ho fatto una professione: la scrittura e la fiber art. Il magazine, che ha oggi una diffusione in tutti i continenti ed è in questo ambito un punto di riferimento internazionale, è nato dal coraggio di una editrice con cui condivido la stessa passione tessile. In soli due anni ha conosciuto una crescita esponenziale grazie a un team, in gran parte femminile, infaticabile e molto motivato. È un progetto in continua espansione e uno strumento indispensabile ormai per chi vuole avvicinarsi a questo settore o approfondirne la conoscenza.

Quali sono i tuoi prossimi progetti e dove ti porteranno?

Nel breve termine, per ArteMorbida che ne è media partner e organizzatore, curerò il Salone Italia per la celebrazione del 25° anno dalla fondazione del WTA World Textile Art con una prima mostra al Museo del Tessile di Busto Arsizio a Ottobre, e un progetto diffuso a Bergamo a Gennaio e Febbraio, in parte incluso negli eventi di Bergamo e Brescia Capitali della Cultura.