Intervista con l’artista italiana che utilizza elementi della natura per esprimere una dimensione interiore.
Da dove deriva la scelta di utilizzare materie naturali come espressione artistica? E qual è il metodo attraverso il quale si sviluppa il processo creativo del tuo lavoro?
La mia ricerca è da sempre incentrata sull’osservazione della natura. Sono nata e cresciuta in un piccolo paese sul mare della Maremma Toscana e sicuramente le mie radici stanno alla base del mio innato interesse verso il mondo naturale. Ho sempre cercato di osservare il paesaggio riproducendolo in modo originale ed evocativo, senza essere mai troppo legata alla realtà. Ma questa pratica ad un certo punto era diventata limitante. Così a poco a poco ho cominciato a toccare con mano i soggetti che inizialmente osservavo solamente, e a raccogliere in modo spontaneo tutto ciò che catturava la mia attenzione. Questo è ormai diventato un vero e proprio metodo di lavoro: durante passeggiate o viaggi raccolgo materiali e li porto nel mio studio dove li lascio decantare per mesi fino a che decido di impiegarli per una serie di opere o per un lavoro in particolare. È come se attratta da certe materialità, mi lasciassi suggerire da esse stesse la strada da percorrere. In modo graduale ho quindi eliminato i materiali tradizionali impiegati per la pittura, fino ad arrivare a utilizzare solo elementi di recupero di origine naturale. Del resto il mio interesse verso le superfici e la materia nasce non solo da un’esigenza di tipo estetico, ma soprattutto da una necessità concettuale. La scelta quindi è sempre legata a un significato esistenziale corrispondente al dato naturale. La natura diventa pertanto un mezzo per parlare dell’uomo, della sua esperienza in questo mondo. Infatti credo profondamente nel legame totale che esiste tra uomo e ambiente, anche se la nostra epoca antropocentrica ci invita ad allontanarci dalla nostra vera casa: l’habitat naturale.
L’eterogeneità delle forme d’arte, insieme all’uso di diversi tipi di materiali, rendono tuttavia la tua ricerca omogenea e fortemente incentrata su due concetti specifici che gli conferiscono un’impronta personale ed originale. Puoi parlarcene?
Certamente i due fili conduttori che rendono omogeneo il mio percorso artistico sono il concetto di luogo e di tempo. Ogni materiale raccolto, e di conseguenza ogni opera che ne scaturisce, è sempre legata a un momento esistenziale di cui voglio parlare attraverso una data materia che si riferisce indefinitamente a un luogo specifico. È per questo che potrei definire il mio lavoro site-specific e time-specific. Lavorare con questo metodo è molto stimolante. Mi connette infatti allo spazio e al momento presente, e mi permette di operare stando attenta a tutto ciò che mi circonda e a ogni istante di vita. Credo sia un modo personale per celebrare la mia esperienza nel mondo. Ma che ha insito in sé anche la speranza di avvicinarmi alle esperienze di tante altre persone.
Un altro aspetto rilevante per la tua concezione artistica è legato al termine “camminare”. In che cosa questa sorta di esperienza intima e introspettiva risulta preminente nel definire le tue creazioni?
Camminare, oltre ad essere il titolo del libro di Henry D. Thoreau che resta per me un punto di riferimento, è l’azione attraverso la quale tutto il mio lavoro si sviluppa. Camminando rifletto, penso, immagino e visualizzo forme e colori. Camminando osservo il mondo circostante e raccolgo dei campioni: terre, foglie, rami, minerali, materie dimenticate, anonime, destinate a dissolversi nell’ambiente. Il camminare è quindi una specie di meditazione e di esperienza intima che mi mette in contatto da una parte con la natura, e dall’altra con la mia esperienza esistenziale. Invece la fase successiva di creazione vera e propria avviene nel mio studio, dove le idee e le materie si trasformano e si uniscono attraverso il prodotto artistico. Camminare è inoltre un po’ una metafora del mio fare artistico, del mio metodo: creo mentre vivo, quindi cammino nell’esistenza creando.
Quanto questo stile figurativo semplice e artigianale, tipico al contempo di correnti anticonvenzionali come l’astrattismo e la pratica informale, rappresenta un mezzo che permette di dar forma a flussi di memoria e di coscienza?
Sicuramente in una prima fase il lavoro ha a che fare con i flussi di memoria e di coscienza, e comunque con qualcosa di puramente irrazionale. Ma questo avviene appunto solo in una prima fase. Successivamente questi primi input istintivi sono a poco a poco ascoltati, compresi, metabolizzati e raccontati attraverso il lavoro. Ogni realizzazione reca in sé un senso, un concetto, un collegamento tra sfera naturale e sfera umana. Mi piace infatti pensare alla mia ricerca come a un lavoro meditativo: l’elaborazione di una fiammella istintiva che si accende dentro ma che ha bisogno di tempo, di ascolto, di cura e di riflessioni prima di esternarsi in modo tangibile, concreto e significativo. I lavori che ne scaturiscono sono frutto dell’unione e dello scambio tra sfera interna e mondo esterno, come se l’esperienza intima fosse in totale armonia con i flussi e i cicli della natura che ci circonda.
Quali sono dunque i riferimenti estetici che hanno influenzato la tua ricerca?
Se devo pensare a dei riferimenti artistici, sicuramente penso all’arte povera, alla minimal art e alla pittura analitica. Indubbiamente queste sono le radici che sento vicine a ciò che faccio. Infatti, nonostante operi in un’epoca ormai lontana da quelle espressioni estetiche, le trovo però ancora molto attuali e degne di approfondimento.
In molte tue opere il bianco sembra rappresentare un elemento catartico, di trasformazione vitale. Quale valore simbolico assume?
Nell’arco del tempo la mia tavolozza si è schiarita sempre di più, arrivando ormai da qualche anno a lavorare intorno al bianco e a tutte le sue declinazioni più calde o più fredde. Anche se utilizzo ancora le terre e altri pigmenti naturali, la presenza del bianco è sempre volutamente predominante. È un colore che mi rappresenta e che rappresenta al meglio ciò di cui voglio parlare. È un colore non colore che filosoficamente porta in sé il concetto di purezza, rappresenta quel momento in cui tutto è possibile, l’inizio di tutto. Lo utilizzo per rigenerare le materie che trovo, quasi a volerle purificare, pulendole, sbiancandole dalla sporcizia terrena per renderle vicine a un mondo ideale più spirituale ed eterno.
Nel 2018 ci sono state due esperienze importanti per la tua carriera. L’opera Like a tear è stata selezionata per la mostra collettiva “Trasformation” alla Gallery MC di New York, mentre Corrispettivo Naturale è stata una mostra personale dedicata alle tue opere, allestita alla G.A.P Art Gallery di Roma. Puoi raccontarci come sono nati questi due progetti e che cosa li caratterizza?
La mia mostra personale Corrispettivo Naturale è nata grazie alla proposta progettuale del giovane e promettente curatore Davide Silvioli, dopo aver visto una mia opera esposta al centro Pecci di Prato all’interno di una collettiva dedicata ai giovani artisti emergenti della Toscana. Dopo due anni dalla mostra sono stata coinvolta in questo progetto al quale ho lavorato con entusiasmo. Ho studiato a Roma ed esporre in questa magica città è sempre un onore per me. Per quanto riguarda invece la collettiva alla MC Gallery di New York, nell’ottobre 2018 il mio lavoro è stato selezionato all’interno di una call pubblica bandita dall’organizzazione internazionale Re Artiste di New York alla quale avevo partecipato. Devo dire che è stata una grandissima soddisfazione, oltre che una fantastica esperienza di scambio e condivisione. Ho preso parte personalmente all’opening che si è rivelato un evento di respiro internazionale, durante il quale ho avuto modo di entrare in contatto con molti artisti provenienti da ogni parte del mondo. In questa speciale occasione ho potuto visitare e innamorarmi letteralmente della grande mela, dove spero di poter tornare presto. Mi auguro inoltre che questa esperienza così stimolante sia solo la prima di una lunga serie.
Come nasce invece nel 2019 l’installazione Ubuntu (Let your tower bloom)?
Ubuntu è una installazione alla quale tengo in particolar modo perché rappresenta il mio primo lavoro nel quale ho inserito elementi naturali viventi. Più precisamente sedici specie di piante succulenti provenienti dal sud Africa e dal Messico. Nella cultura africana subsahariana l’Ubuntu simboleggia un principio filosofico fondamentale: l’essenza di cosa significhi essere umani. Da un punto di vista concettuale Ubuntu indica la benevolenza verso il prossimo. È una regola di vita basata sulla compassione e il rispetto dell’altro. Mentre dal punto di vista formale le strutture in legno dell’installazione evocano l’idea di torre intesa come chiusura individuale. Queste torri però sono prive di tetto e da quello spazio si sviluppano le diverse specie di piante che, nello splendore della loro crescita e delle loro diversità, convivono armoniosamente. Ciò proprio in virtù del fatto che la natura è diversità, armonia e convivenza pacifica. Questa installazione è nata dall’esigenza di affrontare certi temi che toccano i fatti di cronaca degli ultimi tempi, con la speranza di sensibilizzare e di far riflettere lo spettatore su quei valori umani universali che stiamo perdendo completamente di vista.
Il tuo prossimo progetto si avvale di tessuti per rievocare il tema degli affetti e della memoria. Come nasce questa idea?
Negli ulti mesi ho pensato di intraprendere un nuovo progetto che ho intitolato “tessuti affettivi”, ma che è ancora in fase embrionale. L’idea è quella di raccogliere materiale come vecchie stoffe, indumenti non utilizzati, biancheria, ecc. che abbia un significato affettivo e che sia di origine naturale (come cotone, canapa, lino). Se finora nel mio lavoro la raccolta delle materie è sempre stato un percorso intimo e solitario, questa volta mi interessa coinvolgere il pubblico che, donando queste materie, partecipa attivamente al crearsi di un tessuto di connessioni esistenziali. Vorrei realizzare con il materiale raccolto una grande installazione incentrata sulla memoria, sul ricordo, sugli affetti. Queste stoffe infatti per le persone rappresentano non solo un semplice tessuto, ma sono un testimone affettivo di un determinato momento o evento di vita. Al momento sono già tanti i materiali che le persone mi hanno donato da tante parti dell’Italia: vecchie lenzuola appartenenti ai genitori, camicie da notte del corredo di nozze, tessuti che hanno un valore affettivo intimo. Ho chiamato le persone a partecipare al mio progetto attraverso una call sui social e devo dire che già in molti hanno aderito con entusiasmo. Spero di realizzare la grande installazione “tessuti affettivi” nel 2020. Per adesso sto ancora raccogliendo il materiale. Quindi approfitto di questa intervista per invitare chiunque voglia partecipare a donare il proprio tessuto affettivo contattandomi alla mia mail passaniti.s@gmail.com. Per concludere, attraverso questa installazione vorrei far uscire dagli armadi e dai vecchi cassetti che puzzano di naftalina i ricordi, i vissuti e i momenti di vita delle persone. Vorrei rigenerare queste materie e ridargli nuova vita come un atto celebrativo, come un tributo ai ricordi importanti, ma anche alle piccole cose quotidiane che ognuno di noi custodisce con cura, rischiando a volte di dimenticarle nell’armadio del passato.
Biografia: Samantha Passaniti nata a Grosseto nel 1981, vive e lavora tra Monte Argentario e Roma. Diplomata all’Accademia di Belle Arti di Roma, nel 2015 ha frequentato un corso post laurea presso la Slade School of Art di Londra e sia nel 2018 che nel 2019 è tra le finaliste del premio Arteam Cup. Sempre nel 2018 è stata selezionata dall’organizzazione internazionale ReArtiste per una collettiva presso la MC Gallery di New York. Dal 2019 tutta la sua produzione artistica è catalogata nel registro nazionale CeDrac per la valorizzazione della giovane arte contemporanea. La sua ricerca artistica vicina alla minimal art e all’arte povera è incentrata sulla sperimentazione di materiali naturali raccolti nell’ambiente riflettendo e indagando sulla complessità dei rapporti umani e dell’esperienza esistenziale. Le sue opere nascono da un continuo rapporto, dialogo e scambio tra interno ed esterno, tra mondo intimo e ambiente, tra anima e natura, tra esperienza esistenziale e cicli naturali.