Quando l’arte svela le fragilità umane/ Tishk Barzanji

Le interazioni e le emozioni umane rappresentate attraverso la decostruzione dello spazio e dei colori, l’inconsistenza dei contorni, e l’indecifrabilità dei corpi. Le illustrazioni dell’artista di origine curda Tishk Barzanji si avvalgono del surrealismo e del modernismo per rappresentare figure umane inserite in paesaggi e in interni immaginari, cinematografici, ma che al tempo stesso sembrano intrappolate in situazioni di disagio e di impasse.

Cycles in the Silence, 2018

Nelle sue composizioni l’armonia delle forme e dei colori nasconde il malessere e la solitudine dell’essere umano. I colori caldi e vividi, le strutture simmetriche, si accostano a personaggi raffigurati tra le ombre, colti in atteggiamenti impassibili, quasi enigmatici. Silhouettes che assistono dall’esterno alle loro vicissitudini, in attesa di qualcosa che non sembrano mai ottenere. L’artista, emigrato dal Kurdistan, si è trasferito nel 1997 a Londra, dove i numerosi stimoli culturali hanno acceso la sua passione per l’arte e l’architettura. Dopo aver vissuto un lungo periodo di malattia durante l’ultimo anno di studi in Fisica alla Loughborough University che lo ha costretto all’isolamento, ha deciso di seguire il suo interesse per la creatività. La scelta di utilizzare l’arte come un processo di guarigione l’ha portato a osservare quel mondo che lo circondava, ma nel quale non si sentiva integrato. E, concentrandosi sulla dicotomia spazio/individui, luci/ombre non solo riesce a svelare l’inquietudine di uno stato d’animo, ma soprattutto lo metabolizza. Barzanji, infatti, utilizza un’estetica caratterizzata da colori pastello, onirici paesaggi urbani, surreali e bizzarre atmosfere per entrare in contatto con tematiche umane come la solitudine, l’ansia e la comprensione stessa dell’esistenza. In Self (2019) due figure equivalenti sembrano compiere un viaggio introspettivo e interrogarsi sui concetti di angoscia e isolamento. L’ambiente è dominato da tinte blu-viola, arancione e rosa. I raggi del sole penetrano fra le volte architettoniche, gettando ombre sulle scale, sulla piscina, sugli oggetti comuni. La scoperta del sé arriva così solo sostituendo l’ordinario/razionale con l’immaginario/irrazionale. In The Last Banquet (2018), uno dei suoi lavori più noti, una silhouette maschile cerca di interagire con una donna dai capelli rossi fiammeggianti, così come il suo abito. In mezzo un tavolo rettangolare. Lunghe ombre verdi-blu scendono dal muro rosa e attraversano il pavimento, mentre da fuori entrano le luci di un tramonto. Una piscina riflette l’intera scena confondendone i contorni. Il tempo sembra non esistere. Tutto è così ipnotico, incomprensibile, tragico. Invece Know your place (2018) rappresenta al meglio la potenza visiva dell’artista. Qui l’immagine è sovrastata da scale di un blu e rosa intenso, che richiamano alla mente le esplorazioni geometriche dell’artista e incisore olandese Maurits Escher. La struttura, che sembra uscire da una piscina colma di pittura rossa, è intervallata da piante da appartamento e da figure solitarie. In alto invece si vedono porte spalancate su un cielo stellato. Tutto sembra caoticamente silenzioso. In questo caso il surrealismo permette all’artista di unire l’immaginazione creativa con le sue riflessioni su concetti come esistenza, utopia e fuga. Altro aspetto importante è l’uso del colore. Per esempio in Milestone (2018), i colori contrastanti e le ombre scure permettono di creare un’atmosfera irreale, mistica. Sono i dettagli che sembrano interessare l’artista. Le sue composizioni fatte di scale, muri e architetture inverosimili dimostrano quanto lo spazio influenzi il modo di interagire dei personaggi, quanto li avvicini e li allontani. Si apre così una dimensione per esplorare i loro stati d’animo. In Potion (2019), una figura nera in bilico su un gigantesco libro aperto proietta sul muro la propria ombra. Su di essa, l’ombra di una mano che forse appartiene all’individuo che si intravede seduto di fronte al letto. L’azzurro e il rosso sono le tonalità predominanti. L’illustrazione riecheggia atmosfere magrittiane e si serve di oggetti simbolici come maschere e provette per parlarci di trasformazione, dissimulazione, paura e salvezza. L’isolamento è un mezzo di conoscenza interiore. In Lost and Found (2018) due figure in una stanza immaginaria cercano di ri-trovarsi, di ri-conoscersi, fra sedie rovesciate e bottiglie rotte. Le forme delle composizioni sembrano creare un mondo senza confini fra spazio e colori, tutto convive liberamente. Come in Cycles in the Silence (2018), dove in un’ambientazione immaginaria due differenti scenari (montano e domestico) culminano nella spirale della coscienza/universo. L’arista disegna a mano utilizzando una base di acquarelli o colori acrilici, sulla quale poi aggiunge pattern e colorazioni digitali. In questo modo realizza un mix tra pittura e arte tridimensionale. Le fonti di inspirazione per le sue opere sono, insieme alle memorie della sua infanzia, l’architetto spagnolo Ricardo Bofill per la percezione spaziale, Mondrian e il movimento De Stijl (neoplasticismo), il surrealismo di Magritte e le tonalità cromatiche dello scultore Ken Price.  L’architettura brutalista ha avuto una parte importante nel suo lavoro, soprattutto nella fase inziale, durante la quale ha esplorato forme artistiche come la fotografia. L’artista ha inoltre realizzato il poster per la stagione Film4 Summer Screen alla Somerset House, oltre che copertine per libri, album e video. Il lavoro di Barzanji trasporta lo spettatore all’interno di atmosfere fiabesche e dimensioni mentali inconsuete. Il suo messaggio arriva dritto al cuore, perché ci parla di sensazioni profonde, si interroga su emozioni umane a volte spaventevoli, come l’ansia, l’isolamento, lo smarrimento e la fuga. Emozioni che provocano riflessioni e reazioni, e che conducono alla scoperta di se stessi e all’accettazione delle proprie fragilità.

 

 

 

 

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