Who’s next?… Dick Ket

scritto da Valentina Biondini, appassionata di arte e letteratura

Autoritratto

Who’s next? Dick Ket, un pittore olandese tuttora circondato da un’aura di fascino sia per la sua arte, sia per la sua vita piena di ironia e di tragedia. Arte e vita, le sue, paragonabili entrambe a una bellissima piuma caduta sulla terra che all’improvviso vola via per la forza del vento. Dapprima influenzato dal postimpressionismo, successivamente si avvicina al movimento della Neue Sachlichkeit (Nuova oggettività) e, infine, approda al cosiddetto Magischer Realismus (Realismo magico).

Ket nasce con un grave difetto cardiaco. Oggi si pensa che la patologia che lo affliggeva potesse essere la Tetralogia di Fallot, detta anche sindrome del bambino blu, che porta a un progressivo deterioramento degli organi. Dopo aver studiato arte all’Accademia di Kunstoefening Arnhem dal 1922 al 1925, Dick purtroppo, proprio a causa della sua malattia, non può più viaggiare. E, in particolare, dal 1930 fino alla sua morte, avvenuta nel 1940 a 38 anni non ancora compiuti, vive recluso con i suoi genitori nella città di Bennekom.

Ritratto

La sua produzione pittorica, incentrata su nature morte e autoritratti, annovera un totale di 140 dipinti, la maggior parte dei quali realizzati negli ultimi dieci anni della sua vita. Proprio nel ritratto Dick Ket apre una pagina tra le più toccanti della pittura, in quanto in molti dei suoi autoritratti si può notare il progredire della sua malattia, i cui sintomi più evidenti sono una sempre più marcata cianosi e le dita ippocratiche. Dal 1933 al 1934 ottiene una certa notorietà grazie a una mostra personale, la sua prima e purtroppo anche ultima, presso la Kunstzaal van Lier di Amsterdam. Le sue opere oggi sono esposte al Rijismuseum ad Amsterdam, al Gemeentemuseum ad Amhem e al Museo Bojimans Van Beuningen a Rotterdam. Una curiosità: a causa delle sue sperimentazioni tecniche per la miscelazione e la formulazione dei colori, alcuni suoi dipinti a distanza di oltre 80 anni non sono ancora asciutti!

Tre panini

È proprio dalla sua casa, rifugio e prigione, di Bennekom che, scostata la tenda della finestra del suo studio, sembra di veder apparire la sua figura che guarda verso di noi. E allora facciamo silenzio e ascoltiamo ciò che ha da raccontarci…

Benvenuti! È così che si accolgono gli ospiti, non è vero? Mi sorgono dei dubbi poiché vivendo chiuso qui con la sola compagnia di pochissime persone care, temo di aver dimenticato le formule di cortesia che si usano in questi casi. Ora che siete giunti, vi apro la porta e cercherò di ricordarmi come si fanno gli onori di casa alla maniera che si conviene a un gentiluomo.

Autoritratto

Guardatevi pure intorno perché tutta la mia vita si svolge ormai da anni qui, in questo spazio di pochi metri quadrati. Una vita silenziosa che mi scivola via dalle dita e che con queste medesime dita io cerco caparbiamente di fissare sulla tela affinché non tutto vada perduto. Perché la vita è breve sì, ma l’arte è lunga. Forse addirittura eterna. Allora che ve ne pare? I miei autoritratti sono abbastanza veritieri? Trovate che dal vivo il mio volto segnato dal morbo che mi affligge sin dalla nascita corrisponda a quello rappresentato nei miei quadri? Mi auguro di sì, perché non ho cercato di nascondere nulla della crudezza della mia malattia, né della sua inesorabile evoluzione.

Ancora vita con uova

Ma non siate in pena per me, vi assicuro che le difficoltà del corpo non hanno scalfito il mio spirito. Posso ben dire che il senso dell’umorismo e l’autoironia, la passione per l’arte, l’amore per la letteratura, per la musica, per il cinema, per i giochi di parole e per il mistero che mi contraddistinguono non mi hanno mai abbandonato. La malattia mi ha tolto tanto, è vero, ma mi ha anche insegnato qualcosa: a vedere il mondo in un granello di sabbia e a esplorare l’umanità attraverso la compagnia di me stesso e quella delle poche persone che frequento, ossia Schilt, la mia ragazza e la mia musa, e mio padre che è anche il mio migliore amico.

Ancora vita con flauto

In altre parole la vita che mi è toccata in sorte mi ha tolto tutto il superfluo delle esperienze umane e me ne ha lasciato l’essenziale. Ecco spiegato allora il motivo per cui nelle mie nature morte sono presenti così pochi elementi: bottiglie, una ciotola vuota, uova, strumenti musicali, un grappolo d’uva, ritagli di giornale… Perché è sufficiente una parte, anche infinitesimale, per intravedere il tutto. Così, ad esempio, per rappresentare l’acqua non mi occorre dipingere il mare, mi basta spiarne la sua caduta da un rubinetto all’interno di una ciotola. E, in fondo, anche per esplorare il tema dell’umanità adotto la stessa tecnica: mi basta cercare il mondo in me stesso e in quei pochi individui che popolano la mia esistenza. Ora però devo proprio salutarvi. L’arte mi reclama al suo cospetto e non posso tergiversare oltre perché il mio tempo si restringe di ora in ora sempre di più…