scritto da Valentina Biondini, appassionata di arte e letteratura

Alberto Martini è stato un artista italiano dai molteplici talenti che ha fortemente segnato l’immaginario della sua epoca e di quella successiva. Oggi la sua fama è relegata quasi esclusivamente ai cultori dell’arte fantastica, ma in realtà Martini è stato anche un pittore simbolista, un precursore del Surrealismo, nonché un illustratore di testi letterari dal tratto preciso e raffinato. Non a caso a Londra, in occasione della sua mostra del 1914, venne ribattezzato “Italian pen-and-ink genius”. Come illustratore è stato il creatore di immagini abbinate a testi di Dante Alighieri e Luigi Pulci, ma anche di Edgar Allan Poe e William Shakespeare, delle poesie di Paul Verlaine e dell’opera “Poemetti in prosa” di Mallarmé.

Nato nel 1876 a Oderzo, in provincia di Treviso, dal pittore e disegnatore Giorgio Martini e dalla contessa Maria Spineda de Cattaneis, fin da ragazzo dimostra una spiccata predilezione per il disegno e la grafica. E, del resto, dal 1897 partecipa a ben 14 edizioni consecutive della Biennale. Fondamentale per lui è l’incontro con il critico napoletano, e primo direttore della Biennale, Vittorio Pica che, nel 1912, lo incoraggia a dedicarsi alla produzione pittorica, facendo uso soprattutto della tecnica del pastello. Invitato spesso a esporre all’estero, da Monaco a Berlino, da Bruxelles a Londra e Parigi (dove risiede dal 1928 al 1934 nel quartiere di Montparnasse), trascorre gli ultimi vent’anni della sua vita a Milano, dove muore nel 1954.

Le sue opere altamente visionarie e dalla tecnica non di rado stupefacente sono state capaci di nutrire profondamente le avanguardie, dal Futurismo al Surrealismo, e di fecondare l’immaginario di artisti e musicisti, nonché di influenzare il mondo del teatro e del cinema con le sue originali e potenti suggestioni, tuttora percepibili. Persino Alfred Hitchcock nel film “Gli Uccelli” inserisce espliciti rimandi alle sue illustrazioni per i “Tales” di Edgar Allan Poe. Per immergersi a pieno nell’atmosfera che ha nutrito la fantasia di questo grande artista visionario, oggi nella sua città natale è possibile visitare la sua casa-museo. E, se fantasticando, pensassimo di poter realizzare un’intervista con Martini per Who’s next, immaginiamo che così comincerebbe, raccontandoci che…

Mi avvicinai all’arte che ero ancora un fanciullo grazie agli insegnamenti di mio padre, anch’egli pittore e disegnatore. La pratica costante, se non addirittura quotidiana, mi permise di sviluppare una tecnica che anni dopo i critici ebbero a definire infallibile. In effetti, come sono solito sempre dire: “La mia penna è, a seconda dei casi, forte come un bulino e leggera come una piuma”. La mia fantasia era già traboccante di scheletri, mostri, scimmioni, corvi e teschi quando, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, questo immaginario confluì, direi quasi naturalmente, in 54 litografie che poi presero il nome di Danza Macabra. Non so se lo sapete ma quei disegni, stampati in formato cartolina, furono distribuiti fra gli alleati inglesi come propaganda bellica per incitare a combattere contro il vile nemico tedesco. Di ciò non posso che compiacermene.

Altri invece potrebbero aver sentito il mio nome legato alle illustrazioni di nobili poeti e scrittori. Sotto questo aspetto, senza dubbio, il mio progetto più ambizioso è rappresentato dal ciclo di illustrazioni per i Racconti straordinari di Edgar Allan Poe, composto da ben 105 disegni che realizzati tra il 1905 e il 1908, ma a cui continuai a metter mano fino al 1936. Di questo autore americano mi affascinavano l’analisi ossessiva del dettaglio, la sua esplorazione del doppio e dell’inconscio e l’atmosfera magnetica e surreale che permeava i suoi racconti. Tutti temi che sentivo istintivamente anche miei. Con lui intrattenei una sorta di dialogo ideale e non mi limitai a illustrare i suoi testi, ma creai, per così dire, un vero e proprio poema visivo non meno vertiginoso dell’originale, interpretando e amplificando il già fecondo immaginario dello scrittore. Come in un gioco di specchi, del suo racconto letterario riuscivo a tradurre visivamente anche i particolari minori e apparentemente irrilevanti, come nel caso di La discesa nel Maelstrom, Il Corvo, Hop Frog, Gatto nero.

Non credo di peccare di superbia se affermo che le visioni allucinate e i dettagli macabri dell’universo onirico creato dalla mia fantasia potrebbero affascinare anche le generazioni a venire. Chissà se sarà davvero così, ai posteri l’ar…tistica sentenza. Tuttavia, a partire dalla fine degli anni ’20 la fortuna mi voltò le spalle, i critici iniziarono a ignorare i miei lavori e decisi così di trasferirmi oltralpe, a Parigi. E, come si suol dire, non tutto il male vien per nuocere poiché, ça va sans dire, la capitale francese rappresentò un’occasione straordinaria per sviluppare la mia vena simbolista. Fu allora che illustrai le opere di Rimbaud, Baudelaire e De Vigny.

Le mie finanze, però, che avevano bisogno di ben altro nutrimento rispetto al mio estro creativo, risentirono della vita parigina e già a metà degli anni ‘30 dovetti fare ritorno in Italia, qui a Milano, nella città da cui vi sto parlando proprio ora. Qui, nella mia casa, di solito succede che “La grande finestra del mio studio è aperta nella notte. In quel nero rettangolo passano i miei fantasmi e con loro amo conversare. Mi incitano a essere forte, indomito, eroico, mi sussurrano segreti e misteri che forse ti dirò. Moltissimi non crederanno e me ne duole per loro, perché chi non ha immaginazione vegeta in pantofole: vita comoda, ma non vita d’artista”. Adesso dunque è tempo di salutarvi, i miei fantasmi mi reclamano. È con loro che io debbo continuare a conversare stanotte, come esige la mia arte.