Shira Gold / Ritratti di paesaggi: un percorso intimo attraverso il dolore, la riscoperta, il cambiamento

Shira Gold, fotografa canadese, realizza immagini che nel loro isolamento scenico cercano di combinare aspetti come l’immobilità e la bellezza con quelli del dolore e della sofferenza. Attingendo alle sue esperienze di donna, figlia e madre, Shira affronta le vicissitudini spesso tormentate della nostra esistenza attraverso atti di esplorazione, ri-scoperta e stupore. La Gold, infatti, aveva deciso di interrompere il suo percorso artistico per prendersi cura della madre ammalata. Dopo la scomparsa del genitore, ha ripreso in mano il medium fotografico per comprendere il dolore che la stava attraversando, isolandolo, decomponendolo e rappresentandolo in scatti fotografici. Un modo per scoprire le proprie emozioni, per tornare a vivere il momento presente, senza rifugiarsi più nel passato. Da qui deriva Shock, un viaggio introspettivo e profondo, volto a elaborare le emozioni derivanti della perdita. La serie fotografica è la prima di otto che culminano nell’opera Good Grief, composta da immagini che si snodano per mezzo di una ricerca continua e personale sul tema della transizione dal dolore alla guarigione.

Parliamone con l’artista.

Perché hai scelto proprio la fotografia per esprimere determinati emozioni?

In un certo senso penso che la fotografia abbia scelto me. Sono sempre stata una persona molto sensibile e aperta, e da giovane ho avuto l’opportunità di seguire dei corsi d’arte alla Arts Umbrella (una scuola di arti visive e dello spettacolo a Vancouver). Dopo aver sperimentato una vasta gamma di mezzi artistici, mi è apparso chiaro che le mie mani non potevano esprimere ciò che provavo interiormente attraverso altre forme d’arte. Quando ho cominciato a sperimentare la magia di catturare la fuggevolezza del tempo, raffigurata grazie al fascino della camera oscura, sono rimasta completamente folgorata.

Longing (dalla serie Shock)

In Shock sembri addentrarti nel dolore attraverso un universo in bianco e nero, quasi oscuro e a tratti disorientante, dove ogni immagine posta in primo piano sembra un autoritratto, un riflesso di un’interiorità compassionevole e desiderosa di riaprirsi alla vita. Puoi parlarcene?

Questa è davvero un’ottima osservazione. L’esperienza che ho vissuto nei primi momenti del lutto è stata piena di contraddizioni. Mi sentivo molto disorientata a causa dei forti contrasti che si dipanavano fra la lucida consapevolezza della vita che proseguiva intorno a me e la perdita assoluta di mia madre. Mi sentivo intrappolata all’interno di una realtà sconosciuta e di emozioni estreme – spesso penso che l’isolamento di quei momenti sia stato come aver vissuto in un terrario, letteralmente sequestrata nel mio stesso dolore ma anche, in qualche modo, in mostra. Le persone benintenzionate provavano a supportarmi, ma in merito alla perdita mi sentivo come se stessi indossando i miei sentimenti privati, quasi come se fossero vestiti. Quindi queste immagini sono assolutamente dei ritratti, così come tutte le immagini in Good Grief.

Held in Heartbeats (dalla serie Shock)

L’elemento naturale diviene dunque nel tuo lavoro un simbolo per affrontare il complesso processo che conduce al superamento del lutto. Quanto la bellezza e la potenza della natura ti hanno permesso di tramutare la sofferenza in rinascita?

Ho avuto la grande fortuna di essere nata e cresciuta a Vancouver, in Canada. È una città circondata dalla foresta pluviale temperata. Benché qui la natura sia rigogliosa, penso che spesso ho dato tutto ciò per scontato. Non lo è stato però fino alla nascita dei miei figli, quando essa è diventata intensamente parte della mia routine. Quando i miei figli erano piccoli, mio marito lavorava fuori città durante il weekend. Erano giorni difficili. Nella mia giornata c’erano dei piccoli vuoti, visto che erano entrambi a scuola e io potevo avventurarmi nella natura come se fosse un momento di pausa meditativa. Cominciai a portare con me la macchina fotografica, e ciò è diventato un rituale. In questi istanti preziosi c’erano momenti durante i quali ero così talmente presa emotivamente dal paesaggio che avrei pianto mentre mi focalizzavo su ciò che appariva di fronte alla mia lente fotografica. Mi ci è voluto un po’ di tempo per capire il perché. Quando è successo, ho compreso che ciò che stavo vedendo era il mio dolore vissuto attraverso il paesaggio. Ho cominciato a rendermi conto che le immagini potevano esprimere il mio percorso al posto delle parole. Cercare, documentare, ed esprimere la mia storia è stato profondamente curativo.

Exale (dalla serie Shock)

Anche nella serie Sea Swept, indaghi il rapporto fra emozioni interne e mondo esterno. Questa volta è il mare, l’oceano, a manifestare uno spazio interiore. Quanto l’indagine di stati d’animo propri del nostro essere rappresenta una costante della tua ricerca artistica?

Sì, la manifestazione dello stato d’animo si trova dovunque nel paesaggio – a volte il mondo inanimato offre apparentemente una più tangibile connessione con le nostre esperienze interiori. Quando vediamo le immagini delle persone, le nostre emozioni si adattano a una forma specifica, possibilmente separata dalle nostre stesse vite. Ma la raffigurazione astratta dell’acqua può suggerire una moltitudine di sensazioni, uniche per ogni individuo. Il suo influsso emotivo può far scaturire empatia e contemplazione – per me l’universo mare può essere uno specchio per esprimere le mie emozioni personali così come al tempo stesso le infinite possibilità della speranza. In quanto persona timida e sensibile, questi ritratti dell’oceano rappresentano dei mezzi visivi per descrivere le incommensurabili profondità dell’interiorità.

In a Dark and Light (dalla serie Sea Swept)

Un altro aspetto che sembra caratterizzare i soggetti delle tue immagini è un senso di immobilità e relativa calma. Puoi parlarcene?

Io ho una mente che ha bisogno di tenersi molto impegnata. Quando non è totalmente attiva, ricerca degli stimoli. Per molti versi, il mio lavoro contraddice il comportamento della mia mente. Quando creo immagini è una delle poche volte in cui sono in grado di eliminare il rumore, di rallentare e concentrarmi. Questo processo è quasi curativo. Di solito ricerco e catturo quell’immobilità che è così elusiva e fugace nella mia vita.

Invece le varie serie che compongono Good Grief descrivono ognuna la parte di un processo visivo personale, intimo, di trasformazione e cambiamento. Puoi dirci quanto queste opere sono collegate fra loro?

Il dolore risulta differente in diversi momenti nel tempo, così come la nostra crescita interiore non riflette sempre i cambiamenti esteriori. Nel complesso, il mio lavoro traccia un viaggio attraverso il dolore, con una visione sui diversi paesaggi che emergono con il passare del tempo e della distanza. Si relazionano tutti l’uno con l’altro, facendo riferimento a diversi stadi emotivi. Benché l’estetica di ogni collezione all’interno di Good Grief sia piuttosto diversa, tutti i pezzi sono collegati da un interconnesso vocabolario visivo, così come il simbolismo suggerito dalla natura.

Nel tuo ultimo lavoro, The Art of Letting Go, ti interroghi, attraverso immagini dedicate alla metamorfosi dei fiori, sulle ragioni psicologiche che spingono l’essere umano a distaccarsi dai ricordi per avventurarsi in un nuovo contesto di vita, anche se sconosciuto. Cosa ti ha spinto ad approfondire questo argomento?

Lasciar andare il passato e fare spazio al nuovo è sempre stata una sfida per me. Penso di aver compreso che in fondo nella mia vita avevo bisogno di fare spazio al cambiamento. A volte ci aggrappiamo così saldamente ai ricordi per sentirci più vicini ai vecchi aspetti della realtà – che, pur essendo dei bellissimi ricordi, possono essere anche dolorosi. Ma il passato è assoluto. Mi sono sentita così forte da riconoscere che in realtà non ho controllo sul passato, e che esso non deve determinare il modo in cui vado avanti.

Good Fortunes and Leftover Cookies (dalla serie The Fine Art of Letting Go)

Ci sono degli artisti o fotografi che ti hanno influenzato?

Gli artisti che mi ispirano non hanno necessariamente formato la mia estetica. Invece, sono stimolata e ispirata dal loro lavoro e dalle loro storie. Ad esempio, sono stata affascinata dal lavoro di Sally Mann fin da quando ero al liceo. Ammiro sinceramente la sua determinazione e il suo coraggio, e il fatto che la visione della sua arte presupponeva che tutto ciò di cui aveva bisogno fosse nel suo cortile. L’idea che non si debbano cercare paesaggi lontani per fare arte mi ha davvero motivata, specialmente durante i primi anni con i miei figli, quando non potevo avventurarmi lontano. Mi ha anche molto ispirato il grande pittore canadese Gordon Smith. E adoro i potenti ritratti che cattura la fotografa Carolina Rapezzi – i quali documentano importanti questioni umanitarie e sociali. Inoltre amo molto il commento satirico che la fotografa Dina Goldstein usa nel suo lavoro.

Adaptation (dalla serie The Art Fine of Letting Go)

Puoi parlarci dei tuoi progetti futuri?

Sto ancora lavorando a The Fine Art of Letting Go, che continua a evolversi. Nel frattempo sto lavorando alle prime fasi di ricerca per realizzare una serie basata sulla storia della sopravvivenza della mia famiglia durante l’Olocausto, e sulla mia esperienza quale nipote di sopravvissuti.

 

 

 

 

Biografia: le fotografie di Shira Gold cercano di isolare immagini di quiete e bellezza all’interno di momenti complessi e dolorosi. Attingendo ai rapporti personali che si instaurano tra madre e figlia, il suo lavoro esplora esperienze quali il dolore, la personificazione, la scoperta e la meraviglia. Shira vive a Vancouver, nella Columbia Britannica, e ha trascorso gran parte della sua vita circondata dalle belle arti. Tuttavia, quando sua madre si ammalò gravemente, prese la decisione di abbandonare la sua carriera per prendersene cura. Nondimeno, nel momento della perdita della madre, ha sentito la necessità di reclamare la sua voce visiva, ritornando alla macchina fotografica subito dopo essere diventata genitore. La sua serie Reflect, Transform, Become, documenta la trasformativa e complessa esperienza di essere una madre senza madre, e ha ottenuto una menzione d’onore agli International Photography Awards 2016. Il suo progetto più recente è intitolato Good Grief, ed è una raccolta di ritratti di paesaggi che vengono usati come se fossero un’esposizione visiva del suo viaggio attraverso la perdita. Questo lavoro le è valso riconoscimenti in numerosi premi internazionali, come il LensCulture Art Photography Award. Le fotografie di Shira sono state esposte in numerose gallerie Brick and Mortar in Canada, Italia, Grecia, Spagna e Stati Uniti.

shiragold.com

Instagram: @shiragoldphotography

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *